L’ambiente invalidante
Ho parlato molto di validazione, sia qui sul blog che sul mio canale YouTube. Ho nominato spesso l’ambiente invalidante rispetto a molti temi, ad esempio rispetto alla DBT o alla vulnerabilità emotiva più in generale.
In questo articolo voglio fare chiarezza rispetto all’invalidazione e all’ambiente invalidante.
INVALIDARE vuol dire non riconoscere all’altro le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, come validi per lui in quel momento e in quel contesto. Vuol dire non dare valore al mondo dell’altro.
Una famiglia invalidante trasmette modelli di comportamento non utili, non permette di riconoscere pensieri ed emozioni, e dare importanza al proprio mondo interiore. Tale stile educativo si basa sull’ansia, il senso di colpa, la dipendenza e la bassa autostima.
Ci sono però molti modi per invalidare. L’invalidazione non è necessariamente palese, diretta e violenta, a volte è più sottile, più nascosta. Per questo è molto importante imparare a riconoscerla.
Ogni persona può essere invalidante, quindi parlerò di adultità in generale, perché qualsiasi adulto che abbia un ruolo importante nella vita di un’altra persona può essere invalidante: il genitore, l’insegnante, l’allenatore di uno sport, un catechista, un parroco…
Elencherò i diversi tipi di ambiente invalidante separatamente, per aiutare a capire differenze, ma uno non esclude l’altro…
1) L’ambiente non abile, non validante:
Spesso un ambiente invalidante è l’ambiente che non valida. Perché non è in grado di validare, perché anche l’adulto stesso non ha appreso le competenze di validazione o in quel momento non è in grado. E’ il caso ad esempio di un genitore che non è lui stesso stato validato o che non è nemmeno in grado di autovalidarsi. Non è in grado, non ha imparato la validazione e quindi non può trasmetterla. Quindi fai un danno all’altra persona non facendo la cosa efficace, non validando.
2) L’ambiente ACCUSATORIO/giudicante:
Il genitore attribuisce i sentimenti, le emozioni o i comportamenti del bambini a presunti aspetti negativi della personalità o del pensiero del bambino. Ad esempio quando si accusa l’altro di fingere emozioni, oppure asserire che se provi emozioni spiacevoli allora sei una persona negativa o cattiva.
Quando si accusa l’altro di finzione o manipolazione, siamo invalidanti.
Anche passare il messaggio che c’è un solo modo giusto per sentirsi in ogni situazione, e quindi il tuo modo non è quello giusto, rientra in questa categoria.
3) L’ambiente intollerante:
L’adulto non riesce a tollerare emozioni negative e, pertanto, le scoraggia nel bambino.
E’ l’ambiente che nega le emozioni spiacevoli o intense, perché poco tollerate o perché difficili da gestire. Quando passiamo il messaggio che se un’emozione è dolorosa allora deve essere evitata, che nella vita bisogna solo e sempre stare bene, devo ricercare solo la felicità.
Tutto questo trasmette una scarsa tolleranza alla frustrazione.
4) L’ambiente sminuente/banalizzante (le emozioni , i pensieri, l’ambiente interno, non sono importanti)
Il genitore contraddice la descrizione e l’interpretazione del bambino delle proprie emozioni e desideri. In questo modo viene tolta importanza al mondo emotivo.
In questo ambiente invalidante si sostiene che alcune emozioni sono inutili o stupide, o che se gli altri non approvano mie emozioni o miei vissuti allora non dovrei sentirmi cosi.
Si interpreta in modo inappropriato ciò che il bambino fa, la sua lettura viene sempre negata o ribaltata, o messa in discussione. Non viene data importanza ad avvenimenti importanti o traguardi raggiunti, le esperienze importanti sono negate o banalizzate.
5) L’ambiente iper-semplificante:
Il genitore/adulto semplifica eccessivamente il processo di risoluzione dei problemi e minimizza gli ostacoli. Questo può essere mostrato nel caso di un padre che dice a sua figlia che sta imparando a legare i lacci delle scarpe, che sta impiegando troppo tempo e che anche una persona stupida riuscirebbe a farlo con più facilità.
Iper-semplifichiamo utilizzando frasi del tipo ‘vabbè ma era facile’, ‘anche uno stupido ci riuscirebbe’, ‘che tutti ce la fanno’, ‘cosa vuoi che sia’…
6) L’ambiente iperprotettivo:
Ho lasciato questo punto alla fine perché credo che in questo momento sia molto importante…ci stiamo chiedendo tutti…quale sia il giusto livello di protezione in questo momento? quanto posso rischiare? Quanto posso lasciarlo provare da solo?
Uno dei meccanismi più comuni all’interno della famiglia invalidante è l’iperprotezione. Ovvero si cerca di proteggere troppo i figli da qualsiasi pericolo potenziale. Si parte dall’idea che il mondo è un luogo pieno di minacce e cattiverie. In seguito a ciò, si devono adottare delle misure di prevenzione e protezione per evitare di caderne vittima.
La famiglia invalidante iperprotettiva disattiva lo sviluppo personale dei membri che ne fanno parte tramite una serie di meccanismi che finiscono per provocare insicurezza. Mette a rischio la fiducia dei membri nei confronti delle loro abilità e porta ad un vissuto di inferiorità che ne ostacola la crescita personale.
Tale stile educativo si basa sull’ansia, la dipendenza e la bassa autostima. L’ansia genera paure e colpe potenziali. I genitori vogliono che i propri figli “non soffrano” e temono di ferirli dando loro delle responsabilità. Questo modo di fare, però, non rende i figli più felici, anzi l’opposto. Tale atteggiamento risulta molto invalidante, anche se l’intenzione alla base non è malevola.
Il messaggio che passa è tu da solo non ce la fai; che tutti ce la fanno, ma tu no. Solo io ti posso aiutare, ti puoi fidare solo di me.
I genitori rischiano in questo modo lo sviluppo dei propri figli, i quali difficilmente riescono ad adattarsi ad altri ambienti.
Un ambiente invalidante non è la stessa cosa di un ambiente abusante o traumatizzante , anche se le relazioni abusive sono certamente invalidanti. L’invalidità può essere abbastanza sottile e può riflettere un modo generale di interagire.
Adesso però non cadiamo nell’allarmismo, ognuno di noi avrà detto una di queste frasi almeno una volta nella vita. Ma ricordiamoci che questi comportamenti, pensieri, messaggi, per essere invalidanti, devono essere ripetuti nel tempo, devono essere continui e pervasivi.
Inoltre per sviluppare un disturbo di personalità, secondo la teoria biosociale, oltre all’ambiente invalidante, ci deve essere una predisposizione biologica.
L’importante è essere consapevoli come genitori che noi continuiamo a mandare messaggi con le nostre parole, atteggiamenti e comportamenti. Con il verbale e il non verbale.
Quindi per noi educatori o genitori, le parole consapevolezza e intenzionalità devono essere i nostri fari che ci illuminano la via, anche nelle giornate più difficili e in cui siamo più stanchi, ma senza giudicarci e invalidarci noi stessi se a volte sbagliamo.
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